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La terza intelligenza di un leader

Corso di formazione Kanban. Il docente della seconda giornata sono io. Arrivo in aula con 45 minuti di ritardo. Gli organizzatori del corso, Maria e Diego, carissimi colleghi e splendide persone, allertati per tempo, stavano intrattenendo i partecipanti raccogliendo e discutendo qualche feedback. Maria mi vede e si avvicina. Mi avverte che la prima giornata non era andata molto bene, le persone erano piuttosto contrariate e lo avevano manifestato chiaramente e con veemenza. Lancio un'occhiata in fondo all'aula, Diego era ancora tutto preso dall'arginare le animate proteste. Bene, penso tra me e me, diamoci da fare. "Buongiorno" irrompo. "Come va? Vi vedo reattivi. Sono le aule che preferisco... è sintomo di interesse!" E comincio la sessione con un fuori programma che mi ha eroso circa un'ora di tempo e che non ho più recuperato. Ma non mi importa, c'era qualcosa di molto più importante da recuperare: la loro fiducia. Comincio con un po' di domande innocue, sull'unità di appartenenza, sulla regione di provenienza, sull'anzianità di servizio. Voglio conoscerli, ma soprattutto voglio metterli a loro agio. Faccio qualche battuta, provo a farli rilassare, a superare le loro difese. Noto che un paio di loro reagiscono poco e, quando lo fanno, risultano un tantino caustici. Sono ancora scottati e non intendono abbassare la guardia. Senza battere ciglio, e sempre con atteggiamento informale e disinvolto, provo a introdurre l'argomento che avevo in programma ma, come immaginavo, le reazioni salaci non si sono fatte attendere. Questi sono momenti da cui è facile farsi condizionare. Sei solo contro tanti, l'umore generale è cattivo, nessuno sembra intenzionato ad ascoltarti e ti sembra che la situazione sia irrimediabilmente sfuggita di mano.

Cosa fare quindi?

Come tentare di recuperare una situazione che appare disperata?

Un altro episodio, per certi versi simile, viene raccontato da Daniel Goleman nel suo libro Leadership Emotiva. Un dirigente dell'HR di una grande azienda aveva organizzato un seminario invitando un ospite molto rinomato. L'affluenza superò di gran lunga le aspettative, così gli organizzatori dovettero cambiare all'ultimo momento la location che risultò sufficientemente grande per ospitare tutti ma carente in quanto ad attrezzature. Le persone in fondo alla sala ricevevano un pessimo audio e avevano una scarsa visibilità del palchetto. L'evento cominciò comunque e mentre il pubblico ancora rumoreggiava, dal fondo della sala avanzò a grandi falcate una donna. Furibonda si avvicinò al dirigente HR e gli vomitò addosso tutto il suo disappunto. Il dirigente, dal canto suo, era sinceramente dispiaciuto della situazione e rimase lì ad ascoltare la donna. Non tentò di giustificarsi, non provò a calmarla né a redarguirla per i modi bruschi con cui gli si rivolgeva. La ascolto, in silenzio. Quando la donna tornò al suo posto, notò che il dirigente stava consultando i tecnici e gesticolava facendo intendere che in sala non si sentiva e vedeva nulla. Al termine del seminario, la donna tornò dal dirigente riferendogli che la qualità dell'acustica non era migliorata ma voleva ringraziarlo comunque per averla ascoltata e si scusò per la reazione eccessiva con cui aveva protestato. Quando i membri di un organizzazione provano sentimenti di rabbia, delusione o malessere, la cosa migliore che un leader (il dirigente HR o un formatore nelle mie circostanze) possa fare è dare prova di empatia, prendere a cuore la situazione e soprattutto le persone che la vivono con sofferenza. In quel preciso momento poco importa se il problema viene risolto. Quello che conta è l'impatto emotivo. Facendo attenzione ai sentimenti degli altri, il leader li aiuta a metabolizzarli e ad andare oltre. Li conduce a recuperare l'equilibrio e la calma necessari per convogliare le energie verso un percorso più proficuo e positivo. Tutto questo va salvaguardato anche se non si è d’accordo con chi sta protestando o si disapprovi il modo con cui lo fa. Legittimare il punto di vista degli altri, qualunque esso sia non solo è un atto dovuto, ma è una scelta quanto mai efficace nel disperdere umori tossici e incontrollabili, neutralizzando così in gran parte atteggiamenti emotivi distruttivi. Da una ricerca condotta negli Stati Uniti, che ha coinvolto i dipendenti di 700 aziende, è emerso che le persone danno più importanza all'avere un capo comprensivo ed empatico che al guadagnare molto. Ma attenzione, qui non si tratta di semplice cura del clima e dell'ambiente di lavoro. Dati come questi, si è dimostrato, hanno un diretto impatto sulle performance aziendali. Dalla stessa ricerca si rileva che i dipendenti maggiormente soddisfatti del rapporto con il proprio leader risultano essere tra gli attori trainanti in azienda. Questa qualità estende la cosiddetta intelligenza emotiva ai contesti in cui si interagisce con gruppi di persone ed è chiama Intelligenza Sociale. Un leader che la esercita è un leader sempre presente e in sintonia col resto del gruppo. Quando in un team o un un gruppo ci si coinvolge personalmente, l'intelligenza sociale è libera di dispiegarsi in tutte le sue forme. Dall'empatia che permette di intuire i sentimenti degli altri e le loro cause, ad uno stile di relazioni senza attriti capace di stimolare atteggiamenti positivi. In un mondo in cui il nostro lavoro supera i confini di tempo e di luogo tradizionali, in cui la nostra vita, sempre più connessa e promiscua, rendono molto più pervasivi gli effetti della nostra quotidianità lavorativa, le relazioni e il fiume di emozioni che queste alimentano diventano di importanza vitale. L'universo aziendale è un terreno privilegiato per l'applicazione dell'intelligenza sociale. Una decisione del leader può esaltarci come buttarci in un profondo sconforto. Un leader che punti all'eccellenza di gestione e delle performance non può agire come se questi flussi emozionali non esistessero. Perchè le loro ricadute a livello umano sono tangibili. E la loro influenza sulla capacità dei collaboratori di dare il meglio di sé è determinante. Nelle neuroscienze questo fenomeno è attribuito al cosiddetto circuito limbico aperto. Secondo i recenti studi, il funzionamento del nostro sistema limbico (sede centrale delle emozioni) non è auto consistente, ma dipende dal sistema limbico delle persone che ci circondano. Le emozioni non sono aspetti privati degli individui, ma un fenomeno sociale determinato dalle interazioni con gli altri. Insomma, le emozioni sono contagiose. Concludo la mia giornata del corso Kanban con una esercitazione pratica. E' una delizia vedere i gruppetti impegnarsi con piacere e divertimento nel compito assegnato. L'immancabile selfie ha immortalato facce rilassate e sorridenti, per nulla scontate, date le premesse. Fabrizio, il più anziano e polemico del gruppo, o almeno così appariva all'inizio, dopo i saluti mi si avvicina e si trattiene con me a scambiare due chiacchiere. Mi racconta con orgoglio dei suoi figli. Una luce nei suoi occhi svela un animo gentile e romantico. L'opposto di quello che, in mattinata, le sue rughe feroci lasciavano immaginare. E' bastato davvero poco. Un po' di empatia e un pizzico di pazienza. La potenza dell'intelligenza sociale mi soprende ogni volta. E' per questo che i leader hanno una grande responsabilità, cioè quella di essere nella posizione di contagiare una pluralità di persone. Hanno una diretta influenza sullo stato d'animo dei suoi collaboratori, non solo sul posto di lavoro ma in ogni aspetto della loro vita. Di fatto un leader può decidere della felicità di chi lo segue. E' importante che lo sappia e ne tenga conto, prima di farsene carico. Perchè migliorare la vita delle persone o farle soffrire, che gli piaccia o meno, è il suo principale potere. Ed bene che se lo meriti. A presto, Nico Spadoni

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