Il capo che vorrei
In quasi trent'anni di carriera non credo mi sia mai capitato di avere un dialogo sincero ed aperto con i miei capi.
I colloqui di feedback dici?
No. Quelli non sono colloqui davvero aperti. Da un lato ci sei tu che ti senti giudicato e tendi a metterti sulla difensiva.
Probabilmente hai tante cose che vorresti dirgli ma non lo fai fino in fondo, perchè temi di minare un rapporto che proseguirà anche dopo il colloquio. Così ti limiti a qualche feedback politicamente corretto.
Ma se anche decidessi di aprirti completamente, dall'altro lato hai un capo che, come te, ha le sue debolezze e le sue paure ma, essendo il capo, teme che parlandone a te possa indebolire la sua autorità.
Il dialogo a cuore aperto tra capo e collaboratore è un evento raro, la posta in gioco alta per entrambi e si tende ad evitarlo.
Ma, chi l'avrebbe detto, quando meno me lo aspettavo è accaduto. E non una ma due volte. Nello stesso giorno. E con due capi diversi.
Che fosse il giorno della "franchezza" o delle "difese abbassate", onestamente non lo so. Fatto sta che, seppur su argomenti diversi, mi sono trovato davanti delle persone che hanno voluto condividere le loro preoccupazioni. Questa è un'esperienza che auguro a tutti perchè non c'è niente di più coinvolgente di una richiesta di aiuto da chi non credi te lo avrebbe mai chiesto. E' uno di quei rari momenti in cui un rapporto compie un balzo in avanti atterrando su un piano di consapevolezza e affezione nuovo, migliore.
Non voglio svelare i contenuti del confronto, non sarebbe giusto. Ma voglio riportare qui l'esortazione che ho dato ad uno di loro:
Hai l'opportunità di essere il capo che avresti sempre voluto incontrare. Non pensarci troppo, cerca di essere quel capo.
Ora, questo invito è solo una mezza verità. Perchè in genere riusciamo ad avere un'idea abbastanza chiara di ciò che non ci piace di un capo, molto più vaga è l'idea di cosa invece significa essere un buon capo.
L'argomento è piuttosto ampio, essere un buon capo ha a che vedere con i valori in cui si crede, con lo scopo che si persegue, con il contesto in cui si opera, l'organizzazione, la cultura aziendale, il compito a cui si è chiamati. Insomma, tanta roba su cui tanto si è scritto. Troppa per trattarla in un post.
Ma qualcosa da dire ce l'ho. E riguarda quello che di particolare a me piacerebbe trovare in un capo:
l'amore per l'originalità.
Amare l'originalità è una caratteristica che alimenta l'innovazione, esalta la generazione di idee, stimola il "think different" e rinforza il senso di appartenenza e della missione. Tutte condizioni che rendono il lavoro imprevedibile, galvanizzante e ricco di significato.
Che cosa vuol dire per un capo amare l'originalità? Anzi, per essere più concreti, come lo riconosci un capo che ama l'originalità?
Beh, secondo me un capo così fa di tutto per contaminare tutti e rendere l'originalità cultura dominante nel luogo in cui opera.
Adam Grant, nel suo libro "Originals", suggerisce cinque azioni specifiche per diffondere la cultura dell'originalità in un'organizzazione.
Immaginando che quel capo sia tu, ecco cosa devi fare:
1) Scegli le persone non in base alla sintonia con la cultura aziendale ma dal contributo che queste possono darle:
Scegliere in base alla sintonia porta a gruppi di persone che la pensano tutte allo stesso modo. I team migliori non sono formati da persone in armonia con la cultura aziendale ma da persone che la mettono in discussione, la arricchiscono, la rendono viva per poi incarnarla.
2) Passa dai colloqui di uscita a quelli di entrata:
Mi è capitato raramente di lasciare un gruppo di lavoro. Anche in un clima di difficoltà tendo a restare dove sono. Non fuggo mai dalle difficoltà. Nella mia carriera ho cambiato solo due volte e in entrambi i casi per una consapevole scelta di vita, mai per scappare da qualcosa. E' per questo che credo sia molto più importante conoscere le persone quando arrivano piuttosto che farlo solo quando capisci che stanno per andarsene. Conoscerli significa interessarsi a loro più che a qualunque altra cosa. Chiedi cosa li farebbe restare e cosa li farebbe andar via. Sfidali a sfidare le tue convinzioni. Raccogli le loro idee, i loro suggerimenti, rischia di metterne in pratica qualcuno. Non c'è niente di più prezioso per te che poter guardare la realtà attraverso i diversi occhi e le diverse prospettive dei tuoi collaboratori.
3) Chiedi problemi, non soluzioni:
"Non portarmi problemi, portami soluzioni". L'ho sentito così tante volte che ormai mi sono convinto sia diventato un dogma. Forzare la generazione di soluzioni porta a sacrificare il tempo per pensare al problema. La conseguenza di ciò è che le persone, specialmente in situazioni di urgenza, portano sul tavolo la prima soluzione buona che viene in mente. Quando ci manca il tempo per setacciare il problema cerchiamo la soluzione nel già vissuto, nell'esperienza pregressa. E questo genere di risposta raramente è originale o innovativa. Una buona pratica è quella di incoraggiare la segnalazione di problemi e indire con regolarità dei momenti in cui discuterli e solo dopo risolverli.
4) Nelle discussioni non simulare l'avvocato del diavolo, trovane uno vero:
Ti è mai capitato di sentir dire in una riunione: "scusami, sto facendo l'avvocato del diavolo". Il dissenso stimola il ragionamento e aiuta a prendere decisioni migliori. Ma solo quando è autentico. Una voce fuori dal coro è preziosa anche quando sbaglia, ma risulta efficace solo quando è convinta perchè difenderà con le unghie e con i denti la propria posizione, metterà seriamente alla berlina la tua e ti costringerà a metterla in discussione. L'esito non è importante quanto il processo che ti porterà alla decisione finale. Un avvocato del diavolo finto non è in grado di esercitare quel tipo di influenza ma, piuttosto, tenderà ad arrendersi facilmente senza testare veramente la tua visione.
5) Apprezza le critiche:
Incoraggiare l'originalità, e quindi il dissenso, è difficile se predichi bene e razzoli male. La critica, anche la più aspra è un’occasione per mostrarti aperto alla discussione e disponibile a ritornare sui tuoi passi. Ammettere un tuo errore non ti rende più debole ma più forte. Incoraggerai un clima di libertà e proposizione e la fiducia e la fedeltà dei tuoi collaboratori salirà alle stelle.
Nel suo libro, Adam Grant racconta di Ray Dalio un personaggio che ha fatto della libertà e dell'originalità il suo credo. In Bridgewater Associates, la società da lui fondata, i suoi principi di meritocrazia delle idee venivano applicati alla lettera in ogni angolo dell'organizzazione. Non è un caso che Bridgewater Associates è riconosciuta come la più grande e innovativa società di investimenti del mondo.
L'originalità funziona, perchè è un talento che non può essere surrogato. Richiede un habitat adatto a coltivarlo e portarlo a frutto. Un habitat protetto e umanamente vivace, in cui la diversità è un valore e l'errore apprezzato come occasione di crescita. Senza di esso l'originalità soffoca fino a morire e le persone originali soffrono fino ad andarsene.
L'originalità costa, almeno fino a quando non si capisce che si tratta del prezzo da pagare per distinguersi dalla massa con soluzioni efficaci e innovative. Il dazio da riconoscere al successo a cui ciascuno di noi ambisce.
E tu, hai un capo così? Magari sei tu quel capo?
Raccontalo con un commento.
A la prochaine
Nico Spadoni