Identikit di un coach dell'agilità
Un saluto a tutti i frequentatori dei miei post.
Questa settimana è stata la prima in cui, finalmente, sono riuscito a dedicarmi full-time alla grande missione di agilizzazione intrapresa dalla mia azienda.
Una transizione che è partita con poche certezze e tanto coraggio. Ma con una grandissima visione nata da pochi piccoli focolai, sparsi qua e là, poi divampata come un incendio alimentato da un vento impetuoso che ha preso a soffiare anche dalle cime del nostro management.
Una visione che vede la nostra azienda diventare una grande digital company, in un futuro in cui o lo diventi davvero, oppure muori. L'essere agili è una condizione indispensabile per diventarlo e a questo punto lo hanno capito tutti.
Essere agili è qualcosa di molto profondo, che parte da dentro i singoli individui e trova la sua massima espressione a livello collettivo. Ma al centro di tutto c'è la persona, i suoi talenti, le sue credenze e le sue aspirazioni.
Così questa missione non è più una semplice operazione di ristrutturazione aziendale, né tantomeno un progetto di investimento. Questa missione è un percorso di radicale trasformazione di come oggi pensiamo e facciamo azienda.
Ok, hai dei dubbi, te lo concedo. Anche io ne ho qualcuno, ma non è un caso che abbia parlato di percorso. Perchè di questo si tratta.
Quando sei di fronte ad un cambiamento radicale devi solo scegliere come iniziare a sbagliare. Da lì in poi puoi solo imparare e crescere.
L'alternativa (lasciatelo dire da chi l'ha visto succedere centinaia di volte) è rinunciare e restare lì, con la testa sotto la sabbia. E magari in qualche altro posto questa può anche essere la scelta migliore. Ma non qui, non in questa azienda. Non più.
E quindi, ho voluto pubblicare qualcosa di diverso dai miei soliti post.
Ho pensato di intervistare qualcuno che per anni ha coltivato questa visione. Che ha sofferto a lungo le conseguenze delle sue convinzioni.
Che, nonostante tutto, non ha desistito, forte anche della vicinanza di tanti suoi colleghi che, insieme a lui, hanno sperimentato nuovi modi di concepire il lavoro e lo stare insieme.
Ciao Nico, come stai?
Molto bene grazie, piuttosto impegnato in verità. Ma va bene così.
Per chi non ti conosce, chi è Nico Spadoni?
Mah, domanda semplice ma risposta complicata. Potrei stare qui ore.
Ok, riformulo. Sul tuo profilo LinkedIn hai scritto di essere un Digital & Agile Contaminator - Blogger - Esploratore di Giungla (e altro per portare a casa la pagnotta). Che significa?
Significa essenzialmente due cose: la prima è che mi piace imparare e approfondire tutto ciò che mi suscita interesse. Ma poi sono letteralmente incapace di tenere quello che imparo solo per me. Quindi immediatamente cerco l'interazione con gli altri. Cosa che, come puoi immaginare conduce ad imparare ancora. E' un circolo virtuoso che qualcuno chiama contaminazione. La seconda è che sono fondamentalmente un cazzaro, mi piace giocare con le parole e strappare un sorriso. Come ad esempio scrivere questa strampalata autointervista.
Arghhhh… colpito e affondato!
Già... lo speravo.
Va bene, andiamo avanti. Di cosa ti occupi in azienda?
La risposta vera mi comprometterebbe, quindi mi limito al politicamente corretto. Dopo tre anni fantastici nella Global ICT, in cui mi sono occupato essenzialmente di progetti nell'ambito dell'Energy Management, da qualche settimana sono coinvolto nel processo di agilizzazione che la mia azienda ha deciso di portare a termine con tutta la forza di un'organizzazione come la nostra. Cioè a spallate.
Questa più avanti ce la spieghi meglio, ma tornando a te, qual è il tuo ruolo in questo processo?
Al momento c'è troppo da fare per pensare ad un vero e proprio ruolo, mi spendo su diversi fronti, da quello organizzativo a quello operativo.
Certo, ma un'idea di identità te la sarai fatta no?
Anche questa è una domanda la cui risposta più vera potrebbe essere travisata. Se proprio dovessi vedermi in qualche ruolo specifico, probabilmente sceglierei quello di Coach. Ma non ti nascondo che in generale i ruoli mi sono sempre stati un po' stretti. Quello che provo sempre a spiegare (anche se spesso non vengo capito) è che io cerco continuamente il momento e il luogo in cui fare la differenza. Questo mi mette in una posizione piuttosto promiscua, un po' tra il fantasista e il tutto fare. E come potrai immaginare questo è spesso un problema, principalmente per me (e per i miei capi).
Non me ne parlare, ne so qualcosa anche io. Comunque hai detto una parola magica: Coach. Cos'è per te un coach?
Sarebbe meglio dire "chi" è. Perchè quando si parla di coach in generale, ma soprattutto per un coach dell'agilità, l'importante non è ciò che fa, ma che persona è.
Spiegati meglio.
Un coach dell'agilità è una persona speciale. E' qualcuno che incarna i migliori valori di un uomo (o donna ovviamente), come curiosità, generosità, coraggio, gentilezza, umiltà. Una persona con tanta esperienza professionale e non solo. Un tipo pragmatico e allo stesso tempo sognatore, che conosce bene i propri limiti e cerca di andare oltre.
Ma non è che stai descrivendo te stesso?
Hai ragione, ma è difficile essere imparziale nella mia situazione, ancor di più quando mi intervisto da solo.
Si, l'ho già sentita. Proviamo allora a contestualizzare. Quali sono per te le competenze di un coach dell'agilità, come lo chiami tu.
Questa è una domanda molto interessante. Allora, direi che gli skill necessari per un coach dell'agilità sono essenzialmente sette:
1) Deve conoscere valori, principi e pratiche Lean prima e Agile dopo;
2) Deve avere buone doti di Mentoring, cioè sempre disposto all'ascolto e a mettere a disposizione degli altri le proprie conoscenze ed esperienze con lo scopo di contribuire alla loro crescita professionale e, perchè no, anche personale.
3) Deve avere le tipiche capacità divulgative e relazionali dei formatori, cioè deve essere un docente quando occorre;
4) Deve essere capace di ispirare le persone e invogliarle a ricercare costantemente l'eccellenza e a coltivare il proprio potenziale;
5) Deve essere un facilitatore, in grado di mettere le persone in condizione di lavorare al massimo del potenziale attraverso metodi e strumenti opportuni;
6) Deve avere una grande intelligenza emotiva, dando innanzitutto l'esempio e poi aiutando gli altri a gestire i momenti ad alta carica emotiva e sfruttarli per cementare il gruppo in un clima di libertà, trasparenza e lealtà molto raro in un ambiente di lavoro;
7) Deve conoscere benissimo processi, pratiche e strumenti per l'eccellenza produttiva ed operativa.
Un extraterrestre, insomma. Ma è realistico pensare che esista una persona così?
Non è facile, ma esistono. Nomi come Mike Cohn, Jeff Sutherland, Alistar Cockburn e Lyssa Adkins (quest'ultima forse il migliore coach dell'agilità e mio personale modello di riferimento), benché molto diversi tra loro per stile e metodi, ci persuadono che il coach che ho descritto non è una figura mitologica. Certo, va detto che la professione di coach è comunque un percorso di maturità, anche piuttosto lungo. La cosa fondamentale è sentirsi addosso questa responsabilità, che è più verso le persone che segui piuttosto che per l'azienda che ti paga. Che poi, in una azienda agile, le due cose coincidono.
Da quello che dici non sembra un mestiere per tutti.
Su questo ci sarebbe tanto da dire, non mi piacciono le preclusioni, somigliano troppo ai pregiudizi. Credo invece che chiunque possa ambire a qualunque cosa nella vita, purché lo voglia davvero e sia disposto al sacrificio. Ovvio che un coach, verosimilmente, deve aver sviluppato delle, diciamo, sensibilità.
Sono tutt'orecchi.
Beh vediamo.
- Innanzitutto deve essere capace di "leggere una room", una sorta di sesto senso che gli permette di sentire a pelle il clima emotivo del team. Se sono in ansia, in difficoltà, se ci sono dei conflitti latenti, cose così.
- Poi deve istintivamente preoccuparsi più delle persone che degli obiettivi per cui queste stanno lavorando. Infatti quando un team si sente supportato e assistito, rende molto di più e raggiunge obiettivi impensabili.
- La terza importantissima sensibilità è la curiosità. Il non dare nulla per scontato. Il fare domande a partire da una autentica voglia di capire e di conoscere.
- Un'altra è la fiducia incondizionata nelle persone. Il credere nella loro buona fede e capacità. Il coltivare la cultura della possibilità. Le persone che sentono la fiducia del loro coach tirano fuori risorse inimmaginabili, danno il meglio di sé.
- Ancora, deve essere coraggioso, non lasciarsi intimorire dai rischi, meno che mai dall'autorità costituita. Deve avere la capacità di proteggere il team dalla negatività ambientale e cercare di trasmettere agli altri lo stesso coraggio.
- Infine, deve essere umile, empatico e generoso, deve aver imparato a relegare il proprio ego in qualche angolo remoto della coscienza. Non c'è niente di più distruttivo di un coach egocentrico e narcisista.
Quindi stai dicendo che chiunque può diventare un coach, ma per farlo deve lavorare sulla propria personalità.
Esattamente.
Ma esiste il coach ideale?
Il coach ideale è quel coach che si rende conto di avere tanto da imparare. Che non si sente mai arrivato. E che è sempre capace di stupirsi davanti alle cose.
Com'è il coach Nico Spadoni?
Un dilettante, tutto cuore e passione, e con ancora tanto, tanto, tantissimo da imparare.
Su, non fare il modesto.
Non è falsa modestia, giuro. I nomi che ti ho citato prima sono dei giganti, con decenni di esperienza, con centinaia di team e progetti pazzeschi sulle spalle. Ciascuno con capacità che io posso solo sognarmi. Sto lavorando per ridurre la distanza che mi separa da loro, ma si tratta di una distanza siderale.
Nella tua azienda quanti coach sono già pronti per guidare questa imponente trasformazione?
Piuttosto pochi. Ma c'è un grandissimo potenziale su cui riporre grandi speranze.
Cosa intendi per potenziale?
Beh, mi riferisco principalmente alle sensibilità di cui parlavamo prima. Conosco moltissimi colleghi che, oltre ad essere grandi professionisti nel proprio ruolo, potrebbero intraprendere questo percorso con ottime chance di essere pronti in brevissimo tempo. Su alcuni nomi potrei metterci la mano sul fuoco.
Ci dai un'immagine quasi fiabesca della figura del coach. Chi non vorrebbe averne uno da portarsi a casa?
Tu scherzi, ma c'è qualcuno che lo fa.
Ok Nico, mi hai convinto. Ma adesso tornerei ad una cosa lasciata in sospeso.
Spara.
Prima hai dichiarato che la tua azienda ha intrapreso questo processo di trasformazione (cito) con tutta la forza di un'organizzazione come la nostra. Cioè a spallate. Puoi chiarire questo punto?
Una multinazionale come la nostra, per la mole strutturale e per la storia che ha caratterizzato gran parte della sua esistenza, ha consolidato una cultura ormai anacronistica ma radicata così profondamente da resistere a qualunque vento di cambiamento. Non è infatti la prima volta che grandi programmi di change management hanno sortito risultati modesti. Sono in azienda da trent'anni, e credo che questo movimento di agilizzazione sia il processo di change più veemente mai realizzato. Un vero tsunami culturale ed organizzativo.
E qual è il tuo giudizio su questa, chiamiamola, terapia d'urto?
Mah, sai, non credo che ora abbia senso esprimere un giudizio. Troppo presto e comunque sarebbe un futile esercizio. Quello che invece posso dirti è come vivo il momento.
Certo.
E' un momento di grande incertezza, stanno saltando molti punti di riferimento, specie a livello di management. Si respira sconcerto e insicurezza praticamente ovunque. Quindi è il momento in cui occorre essere visionari, coraggiosi e generosi. Le persone devono sapere che non sono in balia della tempesta. E' il momento di essere presenti, disponibili e rassicuranti. E' il momento di focalizzare l'attenzione e gli sforzi su chi e cosa vogliamo diventare. E personalmente cerco di dare il mio contributo, nel mio piccolo, per come posso. Credo che questa sia la strada migliore per una catarsi personale ed organizzativa veramente compiuta.
Davvero un bel messaggio, Nico. Non mi resta che ringraziarti per questa interessante chiacchierata. E speriamo di ritrovarci presto qui, a raccontare il successo della vostra missione.
Non vedo l'ora. Anche perchè è fichissimo sottoporsi ad un'auto-intervista, una cosa che consiglio a tutti.
;-)
Un abbraccio!
Nico Spadoni & Nico Spadoni