Le 4 droghe più efficaci per vivere meglio
Siamo nel paleolitico, in un luogo imprecisato della terra. Sul limitare di una grassa foresta pluviale, sorge un accampamento di nomadi dediti alla raccolta e alla venagione. Roahrh, giovane e irrequieto membro della tribù, si prepara per la battuta di caccia.
Il paleolitico era un'età piuttosto avara. Gli uomini sopravvivevano di ciò che trovavano e di quanto riuscivano a procurarsi cacciando. Si spostavano continuamente in condizioni di risorse scarse e difficili da reperire.
Roahrh, come quasi tutti allora, era esile e mal nutrito, eppure quando era a caccia si sentiva euforico, vivo e forte come un leone. Riusciva ad inseguire una preda per giorni senza mangiare, senza riposare e, quando la uccideva, aveva ancora abbastanza forza da mettersela in spalla e riportarla all'accampamento.
Roahrh non poteva saperlo, ma la vitalità che lo sosteneva era l'effetto di una droga che la natura ha pensato bene di somministrare a lui e a tutti i suoi simili. Una droga sintetizzata col preciso scopo di mascherare il dolore fisico e la stanchezza. Una droga che, in un ambiente ostile e infido, ha salvato lui e la sua gente dall'estinzione.
Questa oscura sostanza è oggi nota come Endorfine.
Oggi non dobbiamo inseguire per giorni una mucca e portarcela in spalla. E' sufficiente andare al supermercato e comprarci una bistecca. Eppure le endorfine sono più attive che mai, in particolare quando svolgiamo attività fisica piuttosto intensa o lavori manuali pesanti.
E' questo il motivo per cui ci sentiamo così bene quando abbiamo appena finito di correre i nostri dieci chilometri, oppure dopo aver comprato, trasportato e assemblato il nuovo armadio dell'IKEA.
Peraltro, le endorfine danno dipendenza. Infatti, chi pratica uno sport con regolarità non vede l'ora di scappare dall'ufficio e rimettersi le scarpette. Inoltre dà anche assuefazione, ed è la ragione per cui chi fa sport tende a oltrepassare sempre i propri limiti (o, i patiti del fai da te, a comprare armadi sempre più grandi :-).
C'è da immaginarsi che lo stesso Roahrh, andasse a caccia non solo per fame, ma perchè amasse farlo, perchè era uno sballo.
Madre natura è geniale a volte, e incredibilmente efficace: procacciarsi il cibo, affilare la pietra o costruire un rifugio non doveva essere uno scherzo. Ma grazie alle endorfine tutto quell'utile dolore, almeno per un po', si trasformava in gioiosa esaltazione.
Un'altra pratica che stimola le endorfine è ridere. Ecco perchè molti considerano la risata terapeutica. Di certo è lenitiva, ansiolitica. Diceva Stephen Colbert, comico di successo statunitense: "quando te la stai facendo sotto, ridi. Non si può ridere ed aver paura allo stesso tempo".
E' proprio così. Lo stesso Ronald Regan, doveva saperlo.
Si racconta che quando fu portato in sala operatoria, dopo che John Hinckley Jr. gli sparò, rivolgendosi all'equipe di medici disse: "Spero siate tutti repubblicani!".
E doveva saperlo anche il chirurgo, che prontamente rispose: "veramente no... ma oggi faremo un'eccezione".
E' grazie alle endorfine se siamo capaci di
affrontare anche le sfide impossibili.
Ecco Roahrh che scruta il terreno. Gli sembra di vedere una traccia lasciata dalla preda. I suoi sensi si acuiscono, è nascosto dietro una roccia, immobile. Si è appostato sottovento affinché la brezza gli porti i rumori e gli odori giusti. E' concentratissimo, sente il prossimo pasto sempre più vicino. E' al suo terzo giorno lontano dal villaggio, si è cibato solo di bacche e radici raccolte sulla strada, eppure si sente più forte e reattivo che mai.
Lui non può saperlo, ma il suo ipotalamo sta pompando dopamina, un'altra droga naturale che lo tiene all'erta, concentrato e al contempo lo appaga e lo spinge a continuare perchè quella sensazione di benessere non lo abbandoni.
E' grazie alla dopamina se siamo inclini a
cercare degli obiettivi, delle mete da raggiungere.
Quando Roahrh ha trovato una traccia, ha ricevuto una scarica di dopamina, e questo lo ha spinto a proseguire e a focalizzare l'obiettivo a dispetto di tutto il resto. Più si avvicinava alla preda e più veniva irrorato da dopamina. Fino all'ultimo istante, la dopamina lo ha sostenuto vigile e appassionato al suo scopo.
Anche oggi la dopamina ha il suo importantissimo ruolo, per esempio quando ci viene assegnato un compito. Più questo è complesso e più ci ritroviamo "fatti" di dopamina. Anche per questo i compiti facili e routinari ci lasciano indifferenti o ci annoiano. E' l'assenza di dopamina che ci rende indolenti e pigri.
La natura ci vuole operosi e produttivi e quindi premia l'avventura. Al contrario, non si è sviluppata alcuna ricompensa biologica per i nulla facenti (come quest'ultimi siano presenti così in gran numero, invece di estinguersi, è uno dei tanti misteri cui la scienza non ha ancora dato risposta :-).
Endorfine e dopamina, sono i due neurotrasmettitori (o droghe, se preferisci) che ci spingono all'avventura, al rischio. Ci fanno sentire bene quando cerchiamo qualcosa, ancor meglio quando la troviamo. Ci danno appagamento quando realizziamo qualcosa di cui necessitiamo, o quando raggiungiamo un traguardo importante.
Endorfine e dopamina
sono gli stupefacenti del progresso.
Adesso Roahrh è furioso, era quasi riuscito a prendere il cucciolo di gnu che inseguiva da giorni, l'aveva messo alle strette in una radura. Da una parte c'era lui con la sua scure, dall'altra il fiume infestato da coccodrilli. E in mezzo il piccolo gnu, inerme e facile bersaglio. Roahrh gli aveva scagliato contro la scure che aveva colpito lo gnu alla testa ma evidentemente non abbastanza forte. La bestiola impaurita, scioccamente si precipitò nelle acque del fiume, che la trascinò lontano dalla riva.
Sotto gli occhi di Roahrh, due coccodrilli si lanciarono verso quell'insperato dono del cielo. Ma uno in particolare fu più veloce e, raggiunto il piccolo gnu, lo divorò in un battibaleno senza la minima considerazione dell'altro coccodrillo. Di par suo, quest'ultimo, sconfitto, senza alcun rancore verso il vincitore, invertì la rotta e se ne ritornò sulla sponda da cui era venuto.
Il cervello dei rettili non prevede alcun premio per comportamenti collaborativi. Gli animali a sangue freddo, in genere, non provano sentimenti positivi quando cooperano, quindi non hanno nessun incentivo a farlo. Non c'è niente di male in tutto ciò, è la natura. E poi ai coccodrilli questa carenza non crea alcun imbarazzo.
Noi però siamo diversi. Ci siamo evoluti con grandi attitudini sociali. E per fortuna!
Non essendo particolarmente forti, non avendo denti aguzzi, squame, corazze e altre forme di protezione, senza la collaborazione coi nostri simili, ci saremmo estinti molto presto.
Ma che cosa ci fa tendere alla socializzazione, cosa abbiamo noi che i coccodrilli non hanno?
Quella sera stessa, Roahrh ebbe miglior sorte. Sulla via del ritorno all'accampamento, senti un fruscio nell'erba alta. Nemmeno il tempo di chiedersi cosa fosse, che un cinghiale gli si avventò contro, probabilmente con l'intenzione di sbranarlo. Di istinto con un gesto disperato, calò la sua scure con tutta la forza che gli rimaneva.
Ma la bestia aveva già spiccato il salto e Roahrh fu atterrato sotto di lei.
Dovettero passare lunghissimi istanti di puro terrore prima che Roahrh si rendesse conto di averla abbattuta centrandola alla testa e uccidendola sul colpo. Fu un colpo di fortuna, ma adesso aveva il suo bottino di caccia.
Ora però, Roahrh è assalito da un dubbio. Mettersi in spalla una bestia di cento chili, portarla all'accampamento e dividerla con gli altri, oppure bivaccare lì qualche giorno e cibarsene finché non ne resterà più nulla.
Ci pensa un po' su, tentato dalla stanchezza e dalla fame. Ma poi gli sovviene il ricordo dei suoi genitori, del suo fratellino ancora troppo piccolo per procurarsi il cibo. E si ricorda anche di Elah, la figlia dell'anziano del villaggio, bella come la luna. E immagina il suo sorriso quando lo vedrà arrivare con quella grossa preda, in grado di sfamarli tutti per giorni.
Si sente responsabile della felicità di tutti coloro che ama e da cui è amato, e si sente fiero di quella responsabilità.
Roahrh non poteva saperlo, ma proprio in quell'istante, quei pensieri avevano liberato una potente dose di serotonina.
La serotonina è quella sostanza che ci fa sentire bene quando riceviamo l'apprezzamento degli altri, ma non solo (e qui la cosa si fa più interessante), ci fa stare bene anche quando siamo noi ad apprezzare gli altri. Infatti la serotonina ha soprattutto uno scopo sociale, perchè rinforza i legami tra persone che si sentono responsabili l'uno dell'altro. Tra genitori e figli, tra insegnanti e discepoli, tra manager ed impiegati, tra coach e allievi, tra leader e seguaci.
Quando qualcuno ci offre il suo aiuto, la serotonina suscita in noi un senso di responsabilità che ci spinge a onorare il suo sacrificio, e a ripagarlo cercando di non deluderlo. D'altra parte se siamo noi a offrire il nostro aiuto, grazie alla serotonina, ci sentiamo comunque responsabili e compartecipi del successo della persona che stiamo aiutando.
La serotonina rende appagante lo stare insieme, è fondamentale per rinsaldare rapporti, creare spirito di gruppo, creare quel senso di appartenenza tipico di tutti i team vincenti.
Siamo animali sociali, ci piace esserlo, ne abbiamo un impellente bisogno. Odiamo la solitudine o lo stare ai margini.
E questo grazie alla serotonina,
la droga della responsabilità, del servizio e dell'appartenenza.
Con il grosso cinghiale sulle spalle Roahrh, un passo dopo l'altro, guadagna la strada di casa. Assorto nei suoi pensieri non sente la fatica immane che sta compiendo. Sono pensieri di vergogna i suoi.
Se fosse in grado di articolare un discorso si darebbe dello stupido per aver solo pensato di tradire le persone che amava. Persone che contavano su di lui e grazie ai quali era cresciuto felicemente, sotto la loro protezione. Se avesse una lingua con cui esprimersi confesserebbe a voce alta tutto l'amore che provava per loro, la sua gente, la sua famiglia. Ma non l'aveva e tutto quello che gli usci dalla bocca fu un sommesso grugnito.
Quello, in mancanza di un linguaggio di cui servirsi, era tutto ciò che poteva proferire. Così, continuò il suo cammino sospinto dalla nostalgia e dal desiderio di riabbracciare i suoi cari.
Roahrh non poteva saperlo, ma se si sentiva così era per effetto di un'altra potente droga, l'ossitocina.
Si tratta di quel neurotrasmettitore responsabile della nostra capacità di concedere fiducia, amicizia e amore. E' quella sostanza che l'ipofisi rilascia ogni volta che siamo in compagnia di una persona fidata, con un amico o con la persona amata. Ma anche quando compiamo una gentilezza per qualcuno, pur se non lo conosciamo. Cedendo il posto in autobus, aiutando qualcuno in difficoltà. Oppure quando la gentilezza siamo noi a riceverla.
Veniamo irrorati di ossitocina pure quando abbiamo un contatto fisico amichevole. Quando ci scambiamo un cinque, quando ci stringiamo la mano per un saluto o per sugellare un accordo, quando ci abbracciamo.
L'ossitocina rende piacevole la vicinanza, tanto più piacevole quanto più ci leghiamo all'altro.
Senza l'ossitocina saremmo incapaci di gesti di generosità, non saremmo in grado di provare empatia, non avremmo alcuna ragione di stringere legami forti di amicizia o di amore. E quel che è peggio è che nessuno si preoccuperebbe dell'altro. Non potremmo contare su nessuno, saremmo in un mondo di fredda indifferenza.
L'ossitocina ci dice fino a quanto possiamo renderci vulnerabili all'altro. Un segnalatore d'allarme che ci aiuta a capire quando fidarci ed esporci e quando è il caso di diffidare.
Nell'istante in cui instauriamo un legame con una persona, l'ossitocina scorre abbondante, questo ci spinge ad aprirci progressivamente. E più riscontriamo segnali positivi, più l'ossitocina ci pervade. Così, quasi per magia, ad un certo punto ci accorgiamo di aver stabilito con l'altra persona un legame molto profondo.
A differenza della dopamina, che ci dà un senso di euforia momentaneo ed effimero, l'ossitocina ha un azione di lunga durata. Un effetto che si concretizza in rapporti sociali più sereni, solidi e durevoli.
Quando è un rapporto di fiducia che cerchiamo, un rapporto in cui confidare soprattutto nei momenti di debolezza e fragilità, è dell'ossitocina che abbiamo bisogno.
L'amore è la quintessenza di questo tipo di relazione. Una bella definizione recita che l'amore è dare a qualcuno il potere di distruggerti, confidando nel fatto che non lo userà.
L' ossitocina è la droga della prossimità, dei rapporti profondi e di lunga durata. E' la droga degli affetti, dell'amicizia e dell'amore.
A quanto pare la natura fa ampio uso di droghe per preservarci come individui e come specie. La loro funzione è influenzata dall'ambiente in cui viviamo e lavoriamo.
La capacità di lavorare sodo, di superare le prove più difficili, di gettare il cuore oltre l'ostacolo è merito delle endorfine.
Quella di fissare gli obiettivi, concentrarsi su di essi e raggiungerli, è dovuta alla dopamina.
La serotonina invece è responsabile dell'orgoglio che proviamo quando le persone a cui teniamo ottengono dei buoni risultati, oppure quando siamo noi ad essere apprezzati per qualcosa di cui siamo artefici. Ed è sempre lei ad assicurare che ci si prenda cura di chi ci segue e che si rispetti chi ci guida.
Mentre il collante nei rapporti di fiducia e affettivi è l'ossitocina. Essa ci persuade a contare sugli altri e a confidare sul loro sostegno. E questo ci dà il coraggio di rischiare, di oltrepassare i nostri limiti, forti della solidarietà e dell'aiuto degli altri. Ci libera la mente da paure e da dubbi, ci dà la tranquillità e la speranza necessarie per pensare in grande e imbarcarci in avventure di ampia portata. Senza l'ossitocina vivremmo solo di soddisfazioni di corta durata, ambiremmo solo a risultati di breve periodo. Non ci sarebbe progresso, perchè il progresso esiste grazie alle idee di tante menti che hanno trovato il modo di collaborare a lungo, grazie a rapporti di stima e di fiducia, continuamente rinnovati e consolidati nel tempo.
Il problema è che il sistema che regola l'afflusso di queste droghe, è lungi dall'essere perfetto. E' molto sensibile all'ambiente e cambia da persona a persona. Non sempre disponiamo delle droghe quando servono e a volte ci ritroviamo in overdose.
Controllare il dosaggio di queste magiche sostanze è un'attività complessa, richiede capacità di sapersi ascoltare e saper ascoltare gli altri. Richiede buone abitudini e comportamenti giusti in ogni situazione. Richiede una grande consapevolezza di sè e di come il sistema funziona dentro noi e negli altri. Controllare tutto questo è complesso, si, ma pur sempre possibile.
Così come è possibile impegnarci a creare un ambiente di convivenza che, sia esso in casa, tra amici o in ufficio, renda tutto più semplice e trasformi questi luoghi in dimore. Luoghi in cui nessuno abbia nulla da temere, in cui starci sia un'esperienza appagante.
Luoghi, cioè, in cui essere felici.
Ed ecco Roahrh seduto dinnanzi al fuoco. Gli altri erano già nei propri giacigli, sazi della carne da lui procurata ed ebbri dei festeggiamenti che seguirono il suo ritorno all'accampamento. Se ne restò lì, da solo, ancora per un po'. Chissà quali lieti pensieri disegnavano sul suo volto un'accenno di sorriso.
Poi, anche lui decide di ritirarsi. Raggiunto il suo letto di foglie e paglia si distende e non può fare a meno di guardare il cielo.
Non gli era mai sembrato così bello.
La luna illumina la notte come un faro, e quell'immagine gli richiama il volto di Elah, bellissima ma ancora inaccessibile.
Roahrh non sa parlare, così quello che riesce a emettere, è soltanto un lungo sospiro.
Un sospiro di fiduciosa attesa. Un sospiro di gratitudine. Un sospiro di speranza.
Un sospiro di felicità.
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Ed è così che voglio salutare te, assieme al fantastico 2017 che volge al suo epilogo.
Con una storia che si perde in una notte in cui uomini semplici e limitati avevano dentro sogni di infinita grandezza.
Uomini semplici e limitati, insieme, hanno reso la realtà così come la conosciamo noi.
Mi piace immaginarli così, ingenui sognatori. Indomiti avventurieri. Teneri sentimentali.
Mi piace immaginarli così, oggi come allora.
Buon anno a te e grazie di esserci.
Nico Spadoni