L'amore ai tempi di Watson
Il Cognitive Computing improvvisamente fa irruzione nella mia vita risvegliando quella curiosità inquieta e pruriginosa che, ai tempi dell'università, mi spinse a interessarmene fino a costruirci sopra la mia tesi. Poi la vita andò avanti, con le sue emergenze e le sue distrazioni. E di quel intrigante ramo dell'intelligenza artificiale non me ne preoccupai più.
Fino ad oggi.
Il destino a volte ti riserva questi strani dejà vu, e quando meno te l'aspetti il passato viene a bussare alla tua porta. E tu devi aprirla altrimenti lui la prende a calci fino a sfondarla.
Ed eccomi qui a rispolverare quanto mi è rimasto e a raccattare in giro quanto mi sono perso.
Ho recuperato un po' dei miei appunti e acquistato un paio di libri. E via con lo studio di macchine universali, automi, grammatiche generative, reti neurali, Deep Learning, intelligenza come astrazione e così via.
Chiariamo un punto però, prima che mi si accusi di millanteria, non sono un esperto nel campo, mi limito a soddisfare la mia curiosità a livello nozionistico e culturale. Perciò posso permettermi di capire il "perchè", a grandi linee il "cosa" e, forse, un po' del "quando", ma quanto al "come"... beh, hai capito no?
Ad ogni modo mi ritrovo coinvolto in un progetto molto interessante e con alte aspettative. Non vedo l'ora di cimentarmi e, naturalmente, faccio di tutto per esserne all'altezza.
Tanto per completare l'immersione, ho rivisto alcuni film che a suo tempo mi rimasero impressi. Alcuni molto divertenti, come Guida Galattica per autostoppisti, altri più impegnati, come 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner.
Ma quello che più di tutti mi ha dato da pensare e che mi ha spinto a scrivere questo post è HER.
Her è una storia di solitudini incolmabili in un futuro distopico. Solitudini che gli uomini cercano di lenire con relazioni virtuali e servizi digitali di ogni tipo.
Tra questi, in particolare, spicca OS1, un sistema operativo intelligente, capace di apprendere autonomamente grazie alle interazioni con gli utenti.
La forza di OS1 è la capacità di elaborare ogni aspetto della personalità del proprio utente e di reagire in modo adeguato sviluppandone una propria, con tutte le sfumature emotive tipiche degli uomini. Diventandone, in definitiva, l'anima gemella.
Samantha è uno di questi. Interagendo con Theodore, il suo utente, crea una tale sintonia da innamorarsene e così anche lui di lei.
La domanda che il film suscita in noi è:
può un'intelligenza artificiale raggiungere un livello di perfezione tale da provare emozioni, fino al punto da invadere quella sfera di stretta pertinenza dell'umanità che è l'amore?
A Hollywood, la risposta a questa domanda è chiaramente "sì" ma cosa ci vuole per passare dalla finzione alla realtà?
Il relazionarsi con un sistema operativo o un robot non è sorprendente. Tutti noi, a volte, attribuiamo tratti umani come la coscienza, i sentimenti e le emozioni a oggetti o agenti non umani.
Questo fenomeno è chiamato antropomorfismo.
Per esempio così accade ai bambini che trattano una bambola o un orsacchiotto come compagni di giochi. Oppure quando ci si arrabbia con un tavolo contro il quale abbiamo appena sbattuto uno stinco, o ancora, quando imprechiamo contro la nostra auto che non parte.
La nostra tendenza all'antropomorfismo può essere spiegata da tre aspetti caratteristici del nostro essere umani:
1) Empatia.
In un video della Boston Dynamics, il loro robot 'Spot' viene colpito in diverse occasioni da alcune persone. La comunità della rete scioccata da tale comportamento ha reagito con veemenza denunciandolo, quasi come se si trattasse di maltrattamenti a persone o animali.
Quando un agente o un oggetto ci fa pensare a un essere umano, l'antropomorfismo scatta istintivamente. E' un processo cognitivo per il quale attribuiamo i tratti umani a robot che assomigliano ad esseri umani, sia a livello fisico che comportamentale. Fino ad sviluppare emozioni quando vediamo che uno di questi viene maltrattato.
2) La ricerca di connessioni sociali.
Theodore Twombly, il personaggio principale del film HER, è descritto come un uomo sensibile con una natura complessa, caduto in una solitudine inconsolabile da quando si è separato dalla moglie.
Ricerche in materia dimostrano che le persone deluse dai loro rapporti affettivi tendono a cercare nuove relazioni "altrove", anche surrogati con agenti o oggetti non umani.
Theodore Twombly trova in Samantha ciò che non ha potuto trovare negli esseri umani.
3) L'illusione del controllo.
La terza motivazione dell'antropomorfismo è la necessità che gli esseri umani hanno di controllare e comprendere tutto ciò che accade. Ci spaventa l'incertezza e l'imprevedibilità, così cerchiamo di sentirci in contatto con concetti familiari e rendere le cose più comprensibili.
Per questo motivo, ad esempio, attribuiamo nomi alle tempeste nel tentativo di semplificare la comunicazione attorno a tali eventi. Abbiamo bisogno di capire quello che accade intorno a noi.
Ma può l'antropomorfismo da solo spingere una persona ad innamorarsi di un intelligenza artificiale?
Alcune scuole di pensiero ritengono che ciò sia impossibile per ragioni biologiche. Quando ci innamoriamo, stimoli sensoriali, soprattutto odori e feromoni attraversano il cervello, richiamano ricordi e innescano una tempesta di reazioni ormonali. Tutto ciò accade per convalidare la compatibilità dei due esseri allo scopo di garantire la sopravvivenza delle specie.
Ma è proprio così? L'amore è solo un fatto biologico?
Pascal diceva che il cuore ha le proprie ragioni che la ragione stessa non conosce. Quante persone si innamorano oggi attraverso siti di incontri?
Eppure, è difficile sentire gli odori del corpo dell'altro attraverso internet, anche con una buona connessione a 4G (ah-ah).
In questi casi assistiamo al sorgere di un sentimento vero e a volte travolgente innescato dalla sola percezione che dietro ai bit con cui il rapporto si sviluppa, ci sia una persona vera.
E se così non fosse? E se dietro quei bit ci sia solo una macchina in grado di superare il test di Turing (cosa oggi altamente probabile)?
L'interazione tra le persone, lo scoprire interessi in comune, condividere le proprie passioni, svolgono un ruolo essenziale nella nascita di un sentimento amoroso.
Ti innamori di una personalità, non di un aspetto fisico (almeno lo spero per te).
In HER, Theodore Twombly si innamora della sua AI perché era affascinato dalla sua personalità, dalla sua intelligenza, dalla sua capacità di comprenderlo.
Daniel Levy, autore del libro "Love + Sex with Robots", prevede che entro il 2050 saranno celebrati molti matrimoni tra esseri umani e robot.
Tuttavia, Serge Tisseron, psichiatra francese, afferma che, nonostante la possibile affezione di un essere umano verso una intelligenza artificiale, la relazione non potrà mai essere amorosa poiché mancherebbe la reciprocità, presupposto indispensabile perchè si possa parlare di amore.
Anche se i robot possono mostrare alcuni sentimenti attraverso i loro scambi con gli esseri umani, molti affermano che non possiamo parlare di amore perché i sentimenti espressi non sarebbero reali.
E questo verrebbe percepito dall'uomo, tanto a livello cosciente che inconscio.
E' pur vero che le ricerche sull'analisi e la comprensione dei sentimenti umani permettono ai robot di individuare i segnali difficili da percepire per gli esseri umani.
Il robot Ellie, ad esempio, è capace di individuare variazioni nelle intonazioni dei pazienti per identificare i segni della depressione.
Più i robot saranno in grado di analizzare e comprendere i nostri comportamenti, più saranno in grado di rispondere e di soddisfare le nostre aspettative. E questo inevitabilmente farebbe aumentare la nostra empatia verso di loro e, forse, anche il nostro amore.
Nessuno sa cosa ci riservi il futuro, se i robot riescano o meno a sviluppare una propria coscienza e delle proprie emozioni, ma in ogni caso bisogna essere preparati ad affrontare l'eventualità.
Serge Tisseron insiste sull'importanza di una riflessione intorno ai problemi etici di un abuso di intelligenza artificiale, per evitare la distruzione delle relazioni umane. A causa delle loro interazioni con robot efficienti ed efficaci, potrebbemmo finire per essere delusi dal rapporto con altri nostri simili, soprattutto in campo professionale.
Oppure, potremmo abbandonare completamente le nostre responsabilità e fare affidamento esclusivamente sui robot per prenderci cura dei nostri cari.
Alla fine, ciò potrebbe comportare una nostra grave rinuncia allo scopo per cui esistiamo, perdendo la nostra capacità di vivere insieme agli altri.
Allo stesso modo, Laurence Devillers, professoressa di Computer Science presso la Sorbona and ricercatrice al Computer Science Laboratory for Mechanics and Engineering Sciences del CNRS, spiega che con lo sviluppo dell'apprendimento continuo l'attaccamento alle macchine rischia di diventare più forte.
Lo stesso avvocato Alain Bensoussan, che opera nel campo delle tecnologie avanzate, sta spingendo per lo sviluppo di una normativa che regolamenti il rapporto uomo-macchina.
Il progresso procede a salti, e chissà che questo controverso scenario non si verifichi proprio nel prossimo.
Nel frattempo mi rimetterei al lavoro con il fantastico progetto che mi è caduto sulla testa. E per quanto entusiasmo mi susciti l'idea, non credo mi capiterà di innamorarmi, che ne so, di Watson per esempio. Non è il mio tipo.
Certo, però, non si può mai dire... bah!
Alla prossima
Nico Spadoni